Schicchi e Puccini (un Prologo a Schicchi)

Opera
Titel: Schicchi e Puccini (un Prologo a Schicchi)
Komponist: Monterisi, Sergio
Libretto: Ambrosini, Flavio
Dauer: 00:45:00
Code N°: WKY14032
Verlag: Edizioni Musicali Wicky

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L'idea che ha ispirato “Schicchi e Puccini”, atto unico vincitore del Concorso internazionale di Composizione Opera Nuova 2013 musicato da Sergio Monterisi su testo di Flavio Ambrosini, è creare una composizione affiancabile a Gianni Schicchi, quando non si possa rappresentare il Trittico nella sua interezza. Invece di accostamenti stilisticamente lontani dalla sua peculiare drammaturgia un prologo che racconti quello che potrebbe essere stato il percorso creativo pucciniano. “Un prologo a Schicchi” è infatti l'onesto sottotitolo del lavoro andato in scena in prima assoluta al Municipale nell'ambito di un progetto realizzato in collaborazione con il Conservatorio di musica “G. Nicolini” di Piacenza, di cui molti degli interpreti sono allievi. Nella sua casa di Torre, con la terrazza aperta sulla veduta del lago, Giacomo Puccini, interpretato da un credibile Gezim Myshketa, si trova a confrontarsi con un momento di crisi creativa dopo il successo ottenuto dalla rappresentazione di Butterfly a Brescia. Perché, si domanda, non è mai riuscito a scrivere un'opera ambientata nella sua terra? In cerca di ispirazione sfoglia la Divina Commedia e si imbatte nella storia del “falsificatore” Gianni Schicchi, sprofondato all'inferno per l'imbroglio perpetrato ai danni della famiglia Donati. Il tema accende subito la fantasia di Puccini che, da buon toscano, appezza la burla “anche se fa un po' male” e non condivide la condanna inflitta al suo ideatore dal Sommo Poeta. Scandalizzato dalle sue considerazioni si materializza, trasportato da un'ironica e improbabile nuvoletta, Dante Alighieri in persona che ammonisce il musicista a rispettare il suo testo, pena l'essere tormentato da una donna feroce e furibonda che gli rovinerà la vita con la sua gelosia. Puccini non si cura della maledizione dantesca, infatti una donna così nella sua vita esiste già: è sua moglie Elvira. Perennemente a caccia delle prove dei veri o presunti tradimenti del marito Elvira diventa sempre più lamentosa e querula nel duetto, un po' troppo lungo, in cui Giacomo cerca di tranquillizzarla con l'aiuto del cameriere Enore che, pur facendo da spalla al Maestro, si diverte a fomentare le ansie della donna. Le necessità artistiche del compositore e quelle più pragmatiche della moglie trovano alla fine un faticoso incontro: Giacomo promette di coinvolgere Elvira nella messa in scena del suo nuovo lavoro per fare in modo che si senta più partecipe della sua vita. Il tentativo di utilizzare la servitù per impersonare i membri della famiglia Donati sembra fallire miseramente dopo le prime audizioni: la cameriera stona clamorosamente il pretenzioso “Tacea la notte placida” in cui si era esibita mentre un mezzadro accenna maldestramente l'Inno di Mameli. Non ci siamo! Il musicista invoca allora l'aiuto del “cielo teatrale”, che - e come non potrebbe trattandosi di un suo prediletto - inonda, in un coro angelico, i bifolchi maremmani con una pioggia di polvere d'oro. E tutti si scoprono improvvisamente capaci di cantare come si deve le belle melodie pucciniane: “Mi chiamano Mimì”, “Ah Manon mi tradisce il tuo folle pensiero”, “Vecchia zimarra, senti”.. E anche Elvira, finalmente convinta, intona lo struggente “Un bel dì vedremo”. Trovati così Nella, Gherardo, Simone e Lauretta, Schicchi lo abbiamo già, è Giacomo in persona, la “Terrena Commedia” di Puccini può incominciare. L'idea, in realtà non nuovissima, di far nascere e ambientare un'opera in casa del suo compositore è sviluppata con tocchi di ironia dal regista Flavio Ambrosini che ha saputo alleggerire, con indovinate scelte teatrali, il suo testo a tratti un po' ridondante. La musica di Sergio Monterisi commenta il declamato sviluppando temi che risultano immediatamente famigliari in quanto spesso derivati da citazioni pucciniane. Si avvertono riferimenti, per altro indovinatissimi, alla scrittura di Bohème, Turandot, Tabarro e, naturalmente, alla musica che accompagna, in Gianni Schicchi, gli ipocriti lamenti funebri dei Donati al capezzale del morto. Leggendo il libretto si apprende che, come nel caso di un vero e proprio prologo, l'opera successiva dovrebbe iniziare subito dopo, con la costruzione della camera di Buoso a vista, utilizzando le suppellettili di casa Puccini. Per problemi probabilmente legati al cambio dei costumi, curati da Carlo Centolavigna, non è stato così e la mezz'ora circa di intervallo intercorsa tra i due lavori ha tolto un po' di rilevanza al primo, che è stato accolto dal pubblico con simpatia e generosi applausi. Gezim Myshketa, passato dal ruolo di Giacomo Puccini a quello di Puccini che interpreta Schicchi, è molto bravo a ricordarsi di rimanere, appunto, Puccini. La recitazione è sempre contegnosa come si conviene ad un signore del primo novecento prestato al palcoscenico e costituisce un importante elemento di continuità tra i due momenti teatrali. Il timbro vocale importante, morbido e pieno, il fraseggio perfettamente scandito e ben accentato del Prologo, mantengono queste caratteristiche anche nello Schicchi, che viene arricchito da efficaci cambi dinamici e di colore. Maria Rosaria Lopalco che era stata un'ossessiva e lamentosa Elvira nella prima parte, illumina, come sempre succede quando il soprano canta bene, la buia stanza di Buoso con un bellissimo e molto applaudito “O mio babbino caro”. Rinuccio, alias Enore domestico di casa Puccini, è il tenore Gabriele Mangione, che ha una bella voce ma dovrebbe controllarla di più, cercando, almeno nei momenti “amorosi”, colori alternativi al “forte”. Zita è una giustamente ruvida Francesca Ascioti e il vecchio Simone è interpretato da Federico Benetti che nel Prologo era il mezzadro stonato di “Fratelli d'Italia” e poi, graziato dagli angeli, il basso di “Vecchia Zimarra”. Davide Giangregorio, il bravo ed espressivo Dante Alighieri del Prologo, è un efficace e molto presente Betto di Signa. Molto divertente la Ciesca di Josette Carenza che martirizza in continuazione il marito Marco interpretato da JinHeon Song. Federica Pecorari, la camerera scelta da Puccini dopo averle sentito ben interpretare Mimì, è una Nella ben affiatata con SungMin Mun, suo marito Gherardo. Efficaci e corretti nei rispettivi ruoli Minho Lee come Maestro Spinelloccio, Simone Scatarzi Alberti: il notaio Ser Amantio, Jihoon Kim e ChanYang Kim come Pinellino e Guccio. Vivace, divertente e nel segno della tradizione, a parte lo spostamento temporale determinato dallo svolgersi della vicenda a casa Puccini, la regia di Flavio Ambrosini. Fabrizio Dosi ha diretto con sicurezza l'Orchestra Amilcare Zanella del Conservatorio Nicolini di Piacenza, che lo ha seguito con grande precisione e compattezza. Una menzione particolare per la limpidezza, veramente angelica, del canto dal cielo del Prologo merita il Coro di voci bianche del Conservatorio Nicolini, guidato da Giorgio Ubaldi. I sorrisi benevoli che inderogabilmente provoca il recitativo finale di Gianni Schicchi si sono trasformati, aderendo al suo accattivante invito, in applausi che hanno premiato con convinzione l'intera compagnia. Patrizia Monteverdi

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